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10950 GIORNI

10950 GIORNI

Tutto era partito da uno stopposo pomeriggio di giugno dove una matricola terribile riusciva a zittire un intero stadio. Quello che riuscivi a sentire era il confuso gracchiare di centinaia di radioline.

Il Genoa batteva un tranquillo Torino, con un’inzuccata di Skuhravy.

Ma non bastava.

Poi un bisbiglio, un urlo isolato, quel crescere di gioia mista rabbia. Goal all’ultimo minuto, uno stadio intero che si abbraccia e festeggia insieme al CAPITANO una rete in un altra città ed il ritrovamento della speranza.

Un urlo comune, un’emozione che avrebbe meritato miglior sorte.

Indimenticabili quei momenti, con Roby che alza le mani al cielo, fa le corna con fare superstizioso ed inizia a cantare con tutta la Nord “In serie A… noi resteremo in serie A”.

Ripensi alla follia di Francesconi di un paio di settimane prima e pensi “fanculo… cose da Genoa”.

E parti per l’ennesima trasferta in macchina verso l’ostile Firenze.

Non capisco tuttora la simpatia che ai tempi suscitava il Padova. Forse per riprendere la litania del Davide contro Golia, non so. In tutti noi c’era quella sensazione di soli contro tutti che ci avrebbe reso invincibili per l’ennesima volta. Butta male per ogni dettaglio, a cominciare da una coreografia da kolossal che viene rovinata da un improvviso temporale. Talmente intenso che svuota momentaneamente la curva, bagna e distrugge il “previsto” mare rosso-blu, e tiene in vita per un attimo il bandierone Un Cuore Grande Così. Tirato su ad inizio partita (vedi foto): fu l’ultima volta che venne esposto fino al Genoa-Cesena di qualche anno fa.

Il bandierone si ruppe, esattamente come l’anima di tre fratelli rosso-blu che non ressero allo stress ed alla tensione. La partita: inguardabile. Pagavamo l’assenza di una punta vera, con il gigante che pareggiò di testa alla sua maniera il vantaggio biancorosso. Poi fu un tiro al bersaglio.

Brutti segni: a quella pioggia maledetta si unì l’avversione nel vedere comparire ad inizio secondo tempo gli striscioni viola in curva ferrovia (poi scoprimmo che li rubarono i padovani dai magazzini) che intanto facevano da contraltare ad una serie innumerevoli di miracoli di Spagnulo. Una cosa che da un lato ti buttava giù, dall’altro faceva salire la convinzione che alla fine avremmo “anche” potuto spuntarla.

Rigori.

Sbaglia il primo un padovano. Parato.

Da noi sbagliò subito dopo il RIGORISTA: Marcolin.

Poi al primo rigore ad oltranza sbagliò Galante. Passa un attimo: un infinito decimo di secondo dal momento in cui si gonfia la rete al rigore di Kreek ed il boato che si alza dalla curva biancorossa. E’ il mio ultimo ricordo di quella giornata di trenta anni fa esatti. L’ennesimo capitolo avverso di una malattia che più ti affossava e più ti dava la voglia di riemergere e risalire.

Ora ripenso a questi trenta anni: alla vicenda Montella passando per Ravenna, la presentazione al Teatro con i ragazzi della Fermana e le contestazioni al Pio. I cortei a Portello verso una sede svuotata persino delle scrivanie.
Penso alla solita speranza di tutti alla prima giornata dell’ennesimo campionato, penso al cancello di Ancona, all’inizio dell’epopea-Preziosi. A quello che poteva essere in confronto a quello che è stato. Il 2005 è una ferita che si riapre ogni volta che un’ingiustizia viene perpetrata. Soprattutto quando tocca da vicino una realtà che per qualche assurdo motivo si è sempre ritrovata dalla parte “dell’aiutato”. Compresa l’ignobile mancata licenza Uefa che sanciva il distacco da un allenatore che, volenti o nolenti avrebbe potuto ambire a vincere qualcosa (riuscendoci in altri lidi), e l’ingresso in Europa dei soliti…chiamiamoli “Gastoni”.

Abbiamo fresco di memoria l’estate scorsa ed il conseguente autunno.

Fortunatamente di tenore decisamente diverso da quello che abbiamo vissuto in primavera ed in questo accenno di estate.

Oggi come allora: ho sempre sognato la vittoria più bella del Genoa.

La prossima.

Penso a quell’ultima azione, quando mancano pochi minuti e senti quell’energia che parte fin dalla punta dei piedi e ti spinge ad urlare sempre più forte il tuo amore per il Grifone. Che ti spinge ad alzare una bandiera. Che ti spinge a confrontarti da sempre con un mondo che da quasi 100 anni non ci vede più protagonisti. Penso a chi questa gioia non potrà dividerla con noi materialmente, ma idealmente sarà li ad urlare, se possibile, ancora più forte di noi.
Vedo una serie infinita di passaggi, una palla che viaggia spedita fra i piedi dei giocatori rossoblù, e la gente a bordo campo che manco si abbraccia, ancora incredula di quanto possa essere eterno ma anche breve un purgatorio di cento e passa anni.

Un’eutanasia scampata, una segregazione che avrebbe ucciso qualsiasi sentimento che non fosse però accecato da AMORE VERO.

In un momento così non riesco a pensare ai giornalai, alle voci da cortile, ai pissi-pissi bau-bau, alle cattiverie che sempre hanno girato intorno al Genoa e da altre parti “invece no”.
Penso a quando ci saremo davvero, a quando anche l’ultimo dei pessimisti dovrà aspettare un’altra occasione per dire “l’avevo detto” e godersi anche lui i suoi tre minuti di felicità.

Penso a quel brivido, a quella voglia che hai di abbracciare uno sconosciuto per il solo fatto che ha negli occhi la tua stessa rabbia, il tuo stesso amore, la tua stessa sofferenza.
Penso a quell’ultimo minuto…ed aspetto che il canto si alzi da solo: “GENOA…GENOA… GENOA-GENOA-GENOA…COI PANTALONI ROSSI… E LA MAGLIETTA BLU”.

Testo rivisitato oggi ma da me scritto nell’aprile del 2005.

Sappiamo tutti cosa successe due mesi dopo.

(Dedicato a tutti coloro che non hanno mai mollato, a tutti coloro che Firenze 1995 ma soprattutto l’estate del 2005…sono ancora delle ferite aperte…a tutti coloro che hanno sofferto per i dolori che solo un grande amore può dare…. in fondo… dedicato a tutti noi)

Sentiti libero..

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FdT

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