
Parte Lesa

E’ un post pubblico, su Facebook, visibile a tutti e quindi mi permetto di pubblicarlo.
Ma non è solo questo il motivo, perchè mi piacciono da morire le cose che scrive questo signore e come le scrive.
Ma non è solo questo il motivo, perchè mi piacciono da morire le cose che scrive questo signore e come le scrive.
Il suo nome è Cristiano di Pino.
PAUSA SIGARETTA
Doveva essere solo una retrocessione. È diventata un caso nazionale.
Dietro la discesa della Sampdoria in Serie C si cela un piano preparato in modo affrettato e superficiale, approvato senza una seria analisi dei rischi.
Un piano che oggi, appena pochi mesi dopo la sua omologazione, sta facendo emergere tutte le contraddizioni e gli interessi nascosti dietro le decisioni prese. E quando la realtà ha cominciato a sgretolare le certezze di chi lo aveva firmato, la risposta istituzionale è stata quella di cambiare le regole.
Ma procediamo con ordine.
La Sampdoria non poteva permettersi la retrocessione in Serie C. Non per motivi legati al campo, ma per come era stato strutturato il piano di ristrutturazione del debito, omologato dal Tribunale di Genova il 13 ottobre 2023. Si tratta del primo piano in Italia approvato ai sensi del Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019) specificamente per una società calcistica professionistica. L’intero piano si basava su una condizione imprescindibile: la permanenza in Serie B.
Secondo il piano, la Sampdoria avrebbe potuto seguire due traiettorie: la prima, denominata “base case”, prevedeva una promozione in Serie A già nella stagione 2024/25, mentre la seconda, più prudente, chiamata “sensitivity case”, posticipava la promozione alla stagione successiva (2025/26). In entrambi i casi non era stata minimamente considerata l’eventualità peggiore: la retrocessione in Serie C.
Questo scenario, ora realtà, compromette tecnicamente la fattibilità del piano stesso.
Con la retrocessione, il rischio immediato è quello della bancarotta. Chi ha approvato questo piano senza garanzie e senza prevedere un’uscita di sicurezza potrebbe essere chiamato a risponderne legalmente, tramite il principio del concorso esterno.
Al vertice della catena di responsabilità ci sono la FIGC, guidata da Gabriele Gravina, e la Lega Serie B.
Nessuno ha voluto o saputo imporre correttivi al piano iniziale.
Nessuno ha previsto alternative.
Hanno preferito rischiare, sperando che il campo confermasse la loro scommessa. Ma il calcio è imprevedibile, e quando il piano ha iniziato a sgretolarsi, è scoppiato il panico nelle istituzioni.
Dopo la retrocessione della Sampdoria, Gravina ha commentato pubblicamente con parole di circostanza, definendo l’accaduto “una perdita incredibile per il calcio italiano”. Nessuna riflazione sui rischi del piano approvato. Nessuna assunzione di responsabilità.
Qualche giorno dopo, la Lega Serie B ha fatto qualcosa di mai visto prima: ha sospeso i play-out a causa di una semplice richiesta della Procura Federale di penalizzare il Brescia.
Una richiesta, non una sentenza.
Una mossa che arriva nella notte, a poche ore dallo spareggio salvezza, con un provvedimento improvviso e senza precedenti. Nessuna reale urgenza, nessun fatto nuovo o imprevisto, solo l’intenzione di congelare la situazione per evitare conseguenze sistemiche. Questa sospensione, secondo ricostruzioni, sarebbe stata favorita da pressioni istituzionali provenienti dal Ministero dello Sport, allarmato per le conseguenze sulla classifica.
Un gesto che tradisce la volontà di bloccare tutto per prendere tempo, eludere le responsabilità e trovare nel frattempo una soluzione accomodante.
La Lega ha invocato l’articolo 27.2 del proprio Statuto, che consente interventi straordinari in casi di emergenza organizzativa. Ma in questa vicenda non c’è alcuna emergenza reale, solo la necessità di prendere tempo. Il regolamento FIGC (art. 49 NOIF) stabilisce chiaramente che i play-out si disputano tra la 16ª e la 17ª in classifica, salvo che il distacco sia pari o superiore a cinque punti. E la classifica, a campionato concluso, è inequivocabile: Frosinone a 43 punti, Salernitana a 42, Sampdoria a 41. Nessuna condizione per evitarli era soddisfatta.
La violazione del Brescia, riferita a ottobre 2024 con scadenze a febbraio 2025, poteva teoricamente essere penalizzata nella stagione in corso. Tuttavia, nessuna norma consente di anticipare gli effetti di una sanzione prima di un giudizio definitivo. Bloccare i play-out preventivamente equivale a riscrivere le regole a partita in corso.
Una decisione illegittima, orchestrata per proteggere se stessi da eventuali responsabilità.
Poi arriva l’inchiesta de “La Verità” che denuncia apertamente la fragilità del piano e la possibile bancarotta fraudolenta per FIGC, Lega e Gravina.
La reazione istituzionale è immediata: comunicati ufficiali, accuse di diffamazione, minacce di querele.
Tuttavia, la stampa nazionale ignora queste minacce e continua ad approfondire il caso.
Nel frattempo prende piede una nuova proposta, spinta in maniera più o meno esplicita dalle istituzioni: allargare la Serie B a 22 squadre. Un colpo di spugna mascherato da soluzione tecnica, un’amnistia generale che permetterebbe di salvare tutti senza ammettere colpe.
Quello che emerge è un disegno chiarissimo: approvare un piano rischioso, tacere di fronte ai problemi, sospendere il campionato quando la situazione diventa critica, e poi proporre soluzioni che salvano la faccia ma non lo sport.
A pagare il prezzo più alto sono i tifosi, vera parte lesa. Ingannati da anni di manovre nascoste e giochi di potere, vedono oggi calpestati i valori dello sport e la dignità dei club che amano.
La responsabilità della società Sampdoria resta, beneficiaria di un piano irrealistico e ora potenzialmente salvata da manovre extra-sportive.
Il calcio italiano è gravemente malato. E, come spesso accade, il pesce puzza dalla testa.
Occorre immediata trasparenza, verità e responsabilità. Perché senza verità non può esserci giustizia. E senza giustizia, lo sport non è più tale, ma diventa una triste, grottesca messa in scena.
E continuerà ad esserlo, fino al prossimo scandalo da insabbiare.
That’s it